4 giugno 2010
Così le cosche si arricchiscono con il business dell'ortofrutta. Duemila chilometri di viaggi inutili per far aumentare il prezzo delle merci dal nostro inviato ATTILIO BOLZONI
FONDI (LATINA) - Il pomodorino non si ferma mai. Si sposta sempre, da sud a nord e da nord a sud, scavalca l'Appennino, attraversa lo Stretto. Percorre le strade d'Italia e chilometro dopo chilometro il suo prezzo sale, s'impenna. Più viaggia e più costa. È uno dei tanti miracoli della mafia. Parte e ritorna nello stesso posto, gira e rigira per finire sempre a un passo da dove è nato.
Noi abbiamo seguito il cammino di un "ciliegino", quello cresciuto nelle terre del signor Antonio di Fondi, tre ettari in mezzo alla magnifica valle di contrada San Raffaele. Campagna buona, zolle profumate, in fondo c'è il mare che entra fra le dune di sabbia. Il signor Antonio ha venduto i suoi pomodorini a 85 centesimi il chilo al grande circo dell'orto e della frutta e, tre giorni dopo, li ha ricomprati a 2,58 euro "da Enzo" che ha una piccola bottega sulla provinciale per Sperlonga. Tre volte di più a neanche due chilometri dalle sue serre. È l'incredibile andata e ritorno del "ciliegino" dei boss, è la tassa che fa diventare carissima la nostra tavola. Lasciando i campi di Antonio ci siamo addentrati nel labirinto di un grande affare criminale e ci siamo persi in una giungla di prezzi e di camion, di balzelli e di ricatti. Tutto sembra in ordine, tutto è avvolto dal silenzio, tutto è sotto gli occhi di tutti. Ma è davvero così?
In realtà tutto è molto "sporco" intorno al pomodorino che arriva nelle case degli italiani. È andata così questa inchiesta nel regno dell'omertà fra teloni riscaldati dal primo sole d'estate e i fumi che buttano gli autotreni dietro alle pedane di carico e scarico. È cominciata con Antonio che ha raccolto i suoi pomodorini dalla pianta e all'alba li ha portati al Mof, il Mercato Ortofrutticolo di Fondi. Un mercato che non è un mercato: tutto è già scritto, tutto è già deciso. Prezzi e regole, pizzo e truffe. È un pozzo nero dove un "commissionario" ha deciso quanto valeva il suo raccolto: 1 euro al chilo. Antonio ha pagato il 14 per cento di imposta e poi non ha saputo più nulla del suo raccolto. Né a quanto l'hanno venduto né dove l'hanno spedito. Quello che è accaduto dopo ce l'ha raccontato qualcuno che il destino dei pomodorini lo conosce bene, uno che è dentro ai percorsi segreti dell'Anonima Trasporti Spa.
Il "ciliegino" di Antonio l'hanno piazzato a 689 chilometri di distanza da Fondi: l'hanno portato a Milano. Un grossista ha comprato il pomodorino delle serre di contrada San Raffaele a 1,98 euro al chilo ma non per rivenderlo, per smerciarlo in giornata ai commercianti lombardi o veneti. L'ha comprato per fargli fare un giro dell'oca. È il talento creativo dei lestofanti, per loro l'agroalimentare è come l'albero della cuccagna. Su e giù, sotto e sopra, più si muove e più si fa guadagno. E chi muove, chi ha i camion, sono sempre loro: i boss delle mafie.
Il "ciliegino" di Antonio è tornato a Fondi. A 2,20 euro al chilo. È tornato come carico di un altro carico. A Fondi qualcuno aveva richiesto il giorno prima, al grossista di Milano, un paio di tonnellate di banane. La contrattazione è stata veloce: "Ti dò le banane ma solo se ti prendi anche un po' di pomodorini". E così il grossista milanese ha fatto ridiscendere il "ciliegino" di Antonio. Altri 689 chilometri ma nella direzione opposta. Lo stesso pomodoro, lo stesso prodotto ha ripreso la via del Sud.
Anche il viaggio delle banane ha una sua storia. Erano partite dall'Olanda, dal porto di Rotterdam. Per raggiungere Milano - e poi Roma - il costo del trasporto si aggirava sui 1.000 euro. Ma a Roma finisce un mondo e ne comincia un altro, a Roma tutti i camion che provengono dal Nord si fermano, non possono più andare avanti. Le banane e i pomodorini di Antonio nella capitale vengono scaricati da un mezzo e caricati su un altro: i camion della camorra. Un cambio che costa altri 250 euro per coprire i soli 120 chilometri che separano Roma dal mercato ortofrutticolo di Fondi. Più di duemila chilometri con 1.000 euro e poco di cento chilometri con 250 euro. Sono le tariffe dei padroni della frutta. Tutti le conoscono e tutti le rispettano. Chi non ci sta va fuori strada. L'inghippo dei "ciliegini" della mafia è dentro quell'ingranaggio: il trasporto "su gomma". Tutto costa di più su quei camion che attraversano l'Italia.
Verso il supermercato
Il pomodorino di Antonio è rimasto all'ammasso un altro giorno al mercato ortofrutticolo di Fondi e poi un altro grossista lo ha comprato. Per lui l'anonimato è d'obbligo: "Per piazzarli in un supermercato ho dovuto pagare come al solito il 2 per cento di tangente al responsabile dell'ufficio acquisti, il 2 per cento è la cifra giusta, però ci sono i più avidi che a volte vogliono anche il 4 per cento. O si paga o nessuno compra e la nostra merce va in putrefazione". Quasi tutto il "ciliegino" di Antonio è finito sugli scaffali della grande distribuzione del Lazio a 2,60 al chilo, "gonfiato" dall'ultima estorsione. Una piccola parte l'hanno dirottata ai piccoli commercianti. Così Antonio si è ritrovato il suo pomodoro anche fra le cassette "da Enzo" a Sperlonga, tre giorni e 1.398 chilometri dopo.
Una magia mafiosa fa lievitare i prezzi e una maledizione perenne condanna Antonio a spaccarsi la schiena dal 1979 racimolando qualche spicciolo anche con il tondo rosso e il san marzano e pure con il caramba, il pomodoro verde per insalata. Ma è il "ciliegino" che gli potrebbe dare un po' di respiro e un po' di utile in più, quel "ciliegino" che almeno da dieci anni è nelle mani di uomini che si chiamano Francesco Schiavone detto Ciciariello o di Domencio Cataldo detto Mimmuccio 'o mericano o di Antonio Panico detto Paperone. Casalesi. E poi anche calabresi, napoletani, catanesi e palermitani. I rais dell'Ortofrutta.
In tutte le direzioni
Le rotte del "ciliegino" sono infinite. Carichi e scarichi, pese, celle frigorifere e sempre chilometri su chilometri. Più il pomodorino fa strada e più le mafie ingrassano. Il produttore è strangolato, il consumatore ingannato. Il pomodorino di Antonio - che gli era stato pagato 85 centesimi - può arrivare a costare anche 3,50 euro a Roma e 4 euro a Milano.
Decidono sempre loro e i loro camion che corrono da Porto Paolo fino su in Trentino. Decidono tutto. L'altro ieri Antonio ha visto al mercato di Fondi anche la stupefacente odissea del pomodorino di Vittoria, che è in fondo all'Italia. Caricato lì e trasportato a Catania, imbarcato su una nave per Napoli, prelevato in Campania da un altro tir, transitato per qualche ora (per l'etichettatura) a Fondi e poi il viaggio all'inverso per ritornare un'altra volta a Vittoria. Più caro e più ammaccato dopo i 1.840 chilometri assicurati dalla premiata ditta Paganese di Costantino Pagano, un campano di San Marcellino che dal 2000 - così scrivono i procuratori di Napoli - "è il protagonista indiscusso di illecita concorrenza nei mercati ortofrutticoli del Paese".
Dobbiamo ringraziare lui se il "ciliegino" di Antonio, che poi diventa anche il nostro "ciliegino", lo paghiamo tre o quattro volte tanto. È lui, Costantino Pagano, che dirige il traffico dei camion che trasportano pomodorini e cocomeri, sedano e mele da una parte all'altra dell'Italia. Come? Ecco come. Lo dice lui stesso parlando con un suo compare di camorra: "Devo mantenerla questa cosa... perché il giorno che devo dividere un viaggio significa che è finita... per mantenere la Paganese come si sta mantenendo da sette anni non è facile perché se ci sta il problema con quello a Catanzaro andiamo a sparare a Catanzaro... se ci sta il problema con il marocchino a Fondi ed andiamo a sparare al marocchino a Fondi... abbiamo un problema con questo a Giugliano, andiamo a sparare a Giugliano... Una situazione come la Paganese non esiste da nessuna parte, secondo me, in Europa...". Il monopolio assoluto. Come si è ramificata la Anonima Trasporti Spa?
La rete di "agenzie"
Loro le chiamano "agenzie". Ce ne sono a Palermo, ce ne sono a Catania, ce ne sono a Gela e a Vittoria. Ma nel centro-sud Italia c'è solo lei, la Paganese. È ancora Costantino Pagano che parla, intercettato e ascoltato: "Qua esiste solo la Paganese per trecento chilometri quadrati capisci qua... fino a Roma, fino a Milano... comandiamo noi... ci sono camorristi da tutte le parti...".
Rapaci, controllano tutto. Il giro di affari mafiosi con frutta e verdura è di 7,5 miliardi l'anno, l'86% del "fresco" viaggia sui camion e quasi tutti i camion sono di quelli là. Chi non è della banda rischia tutto. Anche la vita. Il racconto di un camionista che non stava alle regole del gioco ai procuratori napoletani: "Esco dalla galleria di Villafranca vicino a Messina e mi trovai con due tre camion di loro dietro e, io, giusto in mezzo. Andavo per passare e non mi facevano passare.. mi dissero: chi ti ha autorizzato a caricare? Tiro fuori la freccia e lui mi incastrava, mi urtò, stavo andando fuori e arrivai nella discesa, entrai nel casello a 160, 170 l'ora...".
Il pomodorino deve viaggiare sempre. E sopra il camion ci devono stare sempre loro. Fino al supermercato. È lì che, anche noi, andiamo a comprare il nostro "ciliegino". È lì che si chiude il suo cammino. In Campania. A Milano. A Reggio. E in Sicilia. Se uno va nella parte occidentale dell'isola, a Trapani, la grande distribuzione era in mano a un certo Giuseppe Grigoli prestanome di Matteo Messina Denaro. Se uno va nella parte orientale, a Catania, i supermercati più grandi erano di Sebastiano Scuto, uomo di Nitto Santapaola. Qualche pomodorino di Antonio, fra un viaggio e l'altro, sicuramente sarà finito anche laggiù. Nei supermercati dei Corleonesi. Ed è lì che il "ciliegino" conquista definitivamente il suo marchio di qualità. Un pomodorino completamente mafioso.
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della serie IMPANTANATO...........
Puntando tutto sul Senato per l'approvazione della legge bavaglio, Berlusconi si è indebolito a Montecitorio
La telefonata che ha cambiato i rapporti di forza in campo è iniziata così: “Scusa Umberto, ma ti voglio chiedere una cosa.
Tu, il testo del Senato, lo hai letto bene? Perché...”.
Umberto è Umberto Bossi.
E dall’altro capo del telefono c’era Gianfranco Fini.
Se Silvio Berlusconi avesse potuto intercettare quella telefonata, molto probabilmente, gli sarebbe venuto un coccolone.
Strategia vietcong.
Dietro la miracolosa congiunzione astrale che ha rovesciato i rapporti di forza nel centrodestra e ha impantanato la (apparentemente) trionfale marcia del disegno di legge sulle intercettazioni nei due rami del Parlamento c’è la convergenza, più o meno simultanea, di quattro fattori decisivi.
Il primo è un sostanziale ribaltamento strategico di posizione (quello della Lega, che anche ieri in commissione si è smarcata dal Pdl).
Il secondo è un piccolo capolavoro tattico del presidente della Camera, che ha saputo, contemporaneamente, fare pressione sulla Lega, e imbrigliare (senza violare la lettera di nessun regolamento parlamentare, anzi, attenendosi in maniera rigorosa) il percorso del provvedimento.
Il terzo è stato un grave errore di manovra di Berlusconi nella scelta di tempo. “Se avesse posto la fiducia alla Camera, dopo un lungo dibattito parlamentare al Senato - spiega uno degli uomini più vicini a Fini - come si sarebbe potuto non votarla?
Poiché invece Berlusconi ha fatto esattamente il contrario - continua il finiano - era praticamente impossibile non discutere alla Camera”.
Poi, ovviamente c’è stata la “moral suasion” di Napolitano.
Palazzo Chigi sapeva di rischiare il rinvio alle Camere su almeno tre punti dell’accordo, e in caso di rinvio, i finiani non avrebbero rivotato in nessun caso un testo fotocopia.
Insomma, i vietcong dell’ex leader di An hanno atteso gli yankee berlusconiani nella Camera in cui avevano i rapporti di forza migliori.
Al Senato non potevano sapere nemmeno cosa accadesse in commissione Giustizia, a Montecitorio contano sulla presidenza della commissione, sulla maggioranza dei commissari e sul presidente della Camera.
La conversione di Bossi.Il primo punto è quello apparentemente più difficile da spiegare. Come mai le argomentazioni di Fini vengono improvvisamente prese in considerazione da Bossi? Da un lato per via della micidiale pressione che i vertici delle forze dell’ordine hanno esercitato in queste ore sul povero Maroni: “Qui mi dicono che metà delle indagini di mafia saltano...”, ha detto il ministro dell’Interno al leader del Carroccio.
Il resto del lavoro di convincimento l’ha fatto, senza volerlo, lo stesso Berlusconi.
Chiedendo la corsia preferenziale per le intercettazioni ha messo in secondo piano tutto il resto.
E il senatùr se ne deve andare domenica prossima di fronte al popolo di Pontida senza poter annunciare quella sul federalismo, con le regioni in rivolta sui tagli della Finanziaria, con molte perplessità che iniziano a manifestarsi, persino tra gli elettori, sul fatto che la legge possa favorire le attività criminali e mettere in crisi il dogma della sicurezza.
Troppe cattive notizie, tutte insieme. I voti si pesano. Ma l’errore che è tutto di Berlusconi merita di essere ponderato.
Il presidente del Consiglio continua a chiedersi, come Stalin “di quante armate disponga il Papa” (cioè Fini) senza capire che nei passaggi più delicati del confronto parlamentare, i voti non si contano, ma si pesano. Alla Camera i berlusconiani rischiano di ritrovarsi in aula con un testo che passa al buio in commissione. Un rischio troppo grosso.
Se ieri anche uno come Maurizio Gasparri si diceva disposto ad accettare delle correzioni, è perché con il riposizionamento della Lega i rapporti di forza sono totalmente cambiati. Certo, quella telefonata ha pesato: “Ma tu lo sai che con questo testo non si potrebbe mettere una cimice nella macchina della moglie di Riina?”. No, Umberto non lo sapeva.
Oppure fino a quel momento non lo aveva ritenuto grave.
Entro l’estate? Adesso però la sconfitta in una battaglia ha messo in crisi tutta la strategia della blitzkrieg, della guerra lampo pianificata da Berlusconi (se non l’esito complessivo di tutta la guerra). Spiega ancora l’anonimo finiano: “Io credo che a questo punto sia molto difficile pensare che sia possibile votare il testo prima dell’estate”.
E se non passa prima dell’estate, sarà quasi impossibile che lo stesso testo passi dopo. Certo, al Senato gli uomini del presidente della Camera erano stati quasi spiazzati, presi di sorpresa.
Ma, per paradosso, quella prima vittoria ha illuso Berlusconi di aver portato in porto il provvedimento.
Soviet supremo.
Adesso, racconta il nostro confidente con una nota di ironia nella voce, sarà riunito di nuovo il Soviet supremo del Pdl, per una nuova parata muscolare. Con quale risultato? Altro sorriso: “Nessuno.
Perché la partita poi si gioca in ogni caso in Parlamento”.
Già. E alla Camera, ormai lo sanno anche i sassi, i rapporti di forza e i contrappesi politico-istituzionali, giocano tutti contro la linea ufficiale del Pdl.
Certo, non tutte le carte sono state ancora girate. Ma se non si rompe l’asse tattico fra gli ex An e Lega, la strategia della guerra-lampo non ha nessuna possibilità di riuscire.
ASPETTANDO GOGOL